Accessorio imprescindibile di molti ordini religiosi e del sacerdote durante ogni funzione, il cingolo accompagna il camice sin dall’inizio della storia della Chiesa. Una corda stretta in vita che scende parallela lungo i fianchi, il cui significato nasconde molto di più che un semplice accessorio.
Cos’è il cingolo?
Il cingolo è una corda che il sacerdote stringe intorno ai fianchi sopra il camice. È considerato accessorio del camice e quindi come tale ha origini molto antiche.Il cingolo, come l’alba, è un accessorio che si ritrova già negli usi romani. La tunica romana infatti veniva lasciata sciolta in casa ma quando si usciva veniva stretta alla vita da una corda o fascia, soprattutto per facilitare il movimento. La forma e il materiale utilizzato per il cingolo liturgico riprendono proprio questo tipo di cingolo. Se in un iniziale momento in Spagna e in Gallia il cingolo era finito con una cinghia dalla chiusura in argento o avorio, è il cingolo “romano” che poi si diffonde in tutto l’Occidente diventando il cingolo utilizzato nella liturgia.

Quando comincia a usarsi il cingolo nella liturgia?
Del suo uso liturgico ne fa per primo menzione Papa Celestino I nella Epistola ai Vescovi della Gallia dell’anno 425 d.C. In questa lettera il Papa riprende quei sacerdoti che utilizzano “rozzi abiti” invece delle vesti liturgiche prescritte e che non indossano il cingolo. Anche Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza (780-856 d.C), e Amalario (775-850 d.C), vescovo francese dello stesso periodo, lo citano già nei loro scritti, testimoniandoci l’utilizzo diffuso di questo indumento in epoca carolingia.
Il suo legame con il camice è tale che negli inventari del Medioevo spesso i cingoli ordinari non venivano citati dato che era considerato scontato che insieme al camice ci fosse anche il cingolo. Solo i cingoli più pregiati erano degni di nota, ovvero quelli abbelliti con galloni e passamaneria in oro e argento.
Per quanto riguarda la sua fattura, il Cardinale Carlo Borromeo nel libro “Instructionum Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae” del 1577 scrive che il cingolo deve essere realizzato in morbida canapa oppure in fibra di lino, un provvedimento però che con il passare del tempo non fu sempre preso in considerazione. La Congregazione dei Riti, un organismo della curia romana incaricata della liturgia, decide infatti nel 1701 che il cingolo può essere realizzato anche in seta e lana.

Per quanto riguarda il decoro, nel XII e XIII secolo si guarnivano i cingoli con sfere di metallo o terminali quadrati o a forma di trapezio, cosa tipica al tempo anche per le stole e i manipoli. Dalla fine del XVI a Roma la parte in fondo del cingolo si lasciava finire in importanti nappe o ricche frange. Da sempre sono permessi sia cingoli bianchi che colorati a patto che il colore fosse in abbinamento con il colore del paramento.
Qual’è il significato del cingolo?
Molto del significato del cingolo può essere dedotto dalla preghiera di vestizione utilizzata tutt’oggi dai sacerdoti:
“Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis” (Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza e prosciuga nel mio corpo la linfa della dissolutezza, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità).
Questa preghiera prende spunto dalla Prima lettera di Pietro (1, 13). Nel verso 13 infatti Pietro esorta a “cingere i fianchi della mente” e a “fissare ogni speranza” ovvero ad essere pronti ad abbandonare il proprio modo di pensare e i propri progetti per seguire quelli che Gesù ha per noi, rimanendo fissi sul proprio cammino senza distrazioni.

L’invito a cingere i fianchi lo ritroviamo in altri passaggi della Bibbia. Due passaggi celebri sono quelli dell’Esodo dove gli ebrei festeggiano l’agnello pasquale “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano [..]” e quello del Vangelo di Luca (12,35) “siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”. In entrambi i casi il riferimento a cingere i fianchi è un’esortazione ad essere pronti e sempre in cammino verso una meta con un atteggiamento di servizio.
I liturgisti cominciano molto presto a scrivere circa il significato di questo indumento.
Rabano Mauro, abate e arcivescovo, descrive il cingolo come simbolo della custodia mentis, ovvero dell’autocontrollo, soprattutto in riferimento al desiderio sessuale o ad atteggiamenti arroganti e in cui prevale l’orgoglio personale. Lo considera talmente importante da classificarlo come “il terzo paramento”, dopo la casula e il camice. Amalario, e come lui molti altri liturgisti, vedono nel cingolo il simbolo dell’astinenza e controllo degli impulsi più voluttuosi.

Guglielmo Durante, vescovo francese (1230-1296) nel suo libro Rationale Divinorum Officiorum scrive che il camice deve essere stretto intorno ai fianchi sia perché il tessuto cadente della tunica non impedisca di camminare sia come ammonimento per il sacerdote a mantenere casto e puro il suo servizio. Anche l’autore del Rationale considera il cingolo come un vero e proprio paramento.
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